Riconoscere una Relazione Tossica

Come Uscire da una Relazione Tossica
“Terribile è il gioco dell’amore dove è necessario che uno dei due giocatori perda la padronanza di se stesso.”
Come riconoscere una relazione tossica
L’Amore, il sentimento meraviglioso per eccellenza. Ma talvolta l’amore fa male, non soltanto quando una relazione finisce. Fa male soprattutto quando si rimane ingabbiati in una relazione tossica, distruttiva, malata. Sono relazioni tossiche che alimentano insicurezza, inadeguatezza, malessere. Vessazioni fisiche e psicologiche dalle quali non si riesce a sottrarsi.
Si rimane ingabbiati in queste relazioni che fanno sentire umiliati per il bisogno di colmare un vuoto, per l’incapacità di vivere la solitudine. Molte volte l’origine risale all’infanzia, alla carenza delle cure genitoriali. Un vissuto di abbandono, di rifiuto, di non essere riconosciuti. E così pur di non rivivere l’abbandono, si è disposti ad accettare condizioni emotivamente distruttive ed umilianti.
Cosa significa relazione tossica
Molte persone non riconoscono subito i segnali di una relazione tossica, perché molto spesso si tende a confondere ciò che è la passione e l’amore, con comportamenti totalizzanti, gelosi e autoritari. Le conseguenze di una relazione tossica possono essere molto profonde e nei casi più gravi anche pericolose (per esempio nei casi di relazioni tossiche violente fisicamente o psicologicamente). Per questo è importante riconoscere se ci troviamo coinvolti in una relazione tossica e, in caso affermativo, chiedere aiuto per uscirne.
Le relazioni tossiche sono relazioni che non ci fanno crescere come individui nel rispetto uno dell’altro, ma che portano malessere, privazioni di libertà, dipendenza, paura e insicurezza.
Che cos’è una relazione tossica? Come ci si accorge di trovarsi in un rapporto di coppia logorante o addirittura pericoloso? Non è semplice, anche perché spesso la relazione parte bene e si intossica gradualmente. Oppure parte già difettosa perché uno o entrambi i partner sono predisposti a rimanerne invischiati.
Capita, a volte, di sentirsi incastrati in una relazione. Si sa da tempo che quel rapporto non funziona più, eppure si continua a portarlo avanti, con conseguenze disastrose per l’autostima e il benessere personale. Queste relazioni tossiche prosciugano le energie e fanno sentire senza via d’uscita. Risulta importante allora riconoscere i segnali di una relazione tossica e sapere come uscirne.
Come si sviluppa una relazione tossica
Cadere in una relazione tossica è più facile di quanto sembri. Si tratta, infatti, di relazioni d’amore che all’inizio sembrano funzionare bene. Spesso le due persone si sentono affini, simili e quasi “fatti l’uno per l’altro”. In realtà queste relazioni funzionano bene solo all’apparenza, e spesso danno l’impressione di essere molto forti perché l’intreccio dei meccanismi patologici dei due è molto saldo. Ne sono un esempio il sadismo e il masochismo, o la relazione tra un narcisista e una persona insicura (due quadri che spesso si sovrappongono). Sono relazioni in cui vige un’asimmetria di potere e responsabilità, e dove la sofferenza è strettamente legata al piacere.
Come riconoscere una relazione tossica
Per capire se si è in una relazione tossica è possibile fare riferimento ad alcuni segnali specifici.
- Violenza fisica. Il primo indiscutibile segnale di una relazione tossica è l’abuso fisico. Botte, calci, pugni, schiaffi, sono comportamenti inaccettabili. Quando si verificano, è bene uscire prima possibile dalla relazione, cercando aiuto. Nessun tipo di amore include la violenza(e attenzione al rischio di scambiarla per “passione”).
- Violenza verbale e manipolazione. Più sottile di quella fisica ma ugualmente dolorosa. Spesso la rabbia si manifesta sotto forma di svalutazioni, sarcasmo, offese. Il partner (o l’amico/a) diventa una sorta di bullo, che gioca sui punti deboli dell’altro e cerca di indurre nella vittima un continuo senso di colpa.
- Litigiosità. Nelle relazioni tossiche il confronto dialettico sano sfocia quasi sempre in un conflitto acido. Non ci si ascolta, l’unico scopo di ogni discussione diventa “smontare” l’altro. Non c’è interesse a incontrarsi in un terreno comune in cui trovare maggiore serenità, si cerca solo di ferire l’altro.
- Repentini cambiamenti di “ruolo”. In una relazione tossica è tipico avventurarsi continuamente sui lati del triangolo drammatico, cioè di scambiarsi ripetutamente i ruoli di Vittima, Salvatore e Persecutore. Si ha cioè la sensazione di infilarsi in conflitti sempre uguali, caratterizzati dalle stesse dinamiche e dalle stesse sgradevoli sensazioni. Un esempio: un partner (Salvatore) si prende cura dell’altro apparentemente bisognoso (Vittima), ma questi si ribella o se ne approfitta, diventando così Persecutore e relegando il primo nel ruolo di Vittima. Si tratta in generale di giochi ripetitivi, in cui si perde sempre e non capita mai di “salire di livello” (cioè di crescere come coppia).
- Bassa energia e fatica. Le relazioni tossiche comportano un grande investimento in termini di energia mentale. Si pensa di continuo alla relazione e a come comportarsi, continuando a rimuginare e preoccupandosi molto per sé e per le reazioni dell’altro. Si perde serenità e i continui conflitti e le discussioni esasperanti portano a sentirsi affaticati e scoraggiati.
- Ansia. Quando si deve incontrare l’altra persona, si sente montare l’ansia: il battito cardiaco accelera, si inizia a sudare e la respirazione è alterata. Le persone tossiche sono molto brave a creare pretesti per litigare e sono molto abili a individuare e colpire i punti deboli dei loro avversari. Avere a che fare con loro è quindi comprensibilmente fonte di ansia.
- Bassa autostima. È la conseguenza della svalutazione continua e delle difficoltà che ci si trova ad affrontare ogni giorno nella relazione, che risucchia energie, serenità e benessere. Il carnefice inoltre impedisce alla vittima di crescere e di essere autonoma.
Come chiudere una relazione tossica
Se vi accorgete di essere finiti nel circolo vizioso delle relazioni tossiche, ci sono alcuni punti che potete seguire:
- Rivedete i comportamenti passati e uscite dal diniego. Quando siete con il vostro partner sentite che il tempo è speso bene e che ne vale la pena? O sentite le vostre energie prosciugate e state con lui/lei solo per senso del dovere?
- Analizzate il presente. Come vi sentite nella relazione? Quali emozioni prevalgono (gioia, rabbia, paura, senso di colpa)?
- Recuperate le attività sacrificate per la relazione tossica. Quante cose avete messo da parte per difendere questa relazione?
- Cercate persone con atteggiamenti diversi e fate attenzione a non innescare di nuovo il circolo vizioso.
- Lavorate sulla parte di voi che collude con questo schema e che vi porta verso relazioni tossiche: per esempio la tendenza a dipendere dall’altro, o a scegliere partner che vi trattano male. Un percorso di psicoterapia potrebbe aiutarvi a fare questo.
- Chiedete aiuto. Non esitate a parlarne con qualcuno che possa aiutarvi, uno psicologo ed eventualmente ad allertare le forze dell’ordine.
Per saperne di più o avere un consiglio, contatta Antonella Ippolito al 347 7131329.
Attacco di Panico

Cos’è l’attacco di panico
L’attacco di panico è un evento caratterizzato da un’ansia molto intensa, tachicardia, fiato corto e paura di morire o di impazzire. Può presentarsi in qualsiasi momento e spesso è associato a periodi di forte stress e stanchezza. Quando gli attacchi di panico si presentano frequentemente in un breve lasso di tempo allora si parla di disturbo di panico. Il disturbo di panico è un disturbo presente nel DSM-5 nel capitolo dei disturbi d’ansia, insieme al disturbo d’ansia generalizzata, alle fobie e altri disturbi d’ansia specifici. Il trattamento prevede generalmente l’utilizzo di farmaci ansiolitici (sintomatici) o antidepressivi, l’utilizzo di tecniche di rilassamento, colloqui clinici e psicoterapia. Gli attacchi di panico sono episodi durante i quali, chi ne soffre, è preda di una forte ansia e paura molto intensa, senza un apparente pericolo. Il termine “panico” deriva dal nome del dio Pan, il dio dei pascoli e della natura. Il dio Pan era un essere spaventoso, aveva infatti il corpo mezzo umano e mezzo caprino. Il mito racconta che il dio Pan era solito attaccare improvvisamente le ninfe del bosco, durante il meriggio, per possederle, suscitando in loro un terrore vivissimo e bloccante, appunto il “timor panico”. Da questo mito trova origine il termine “attacchi di panico“. Gli attacchi di panico sono stati di ansia molto forte, che insorgono per lo più inaspettatamente e che provocano intensa paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire. Durante gli attacchi sono presenti numerosi sintomi fisici che allarmano il soggetto, come fatica a respirare con senso di oppressione toracica, dolore al petto, tachicardia e vertigini.
Sintomi dell’attacco di panico
I sintomi dell’attacco di panico riguardano sia aspetti psichici che fisici. I principali sintomi dell’attacco di panico sono:
- paura di perdere il controllo
- sudorazione intensa
- palpitazioni
- tremori
- sensazione di soffocamento
- dolore al petto
- senso di sbandamento e vertigini
- nausea
- brividi
- formicolii o sensazioni di intorpidimento agli arti
Non è necessario che durante un attacco siano presenti tutti questi sintomi, infatti spesso la manifestazione di un attacco di panico può differire da soggetto a soggetto. La frequenza con cui si manifestano i sintomi del panico definisce, in genere, la gravità del disturbo.
E’ possibile infatti che gli attacchi di panico si manifestino con una relativa bassa frequenza, ad esempio uno al mese. In casi più gravi gli attacchi possono essere diversi nell’arco della stessa giornata. Quando un soggetto è vittima di frequenti attacchi di panico allora si parla di disturbo di panico.
Attacco di panico e diagnosi del DSM-5
Il disturbo di panico è un disturbo del DSM-5 presente nel capitolo dei disturbi d’ansia. E’ un disturbo caratterizzato dalla presenza di ricorrenti attacchi di panico (almeno due, anche se in genere gli attacchi sono molti di più) definiti come “inaspettati”. Il termine “inaspettati” sta a significare che, apparentemente, non si evidenziano cause scatenanti l’attacco. In un disturbo di panico gli attacchi possono comparire come fulmini a ciel sereno, in alcuni casi quando l’individuo si sta rilassando o addirittura durante il sonno. Secondo il DSM-5 la diagnosi di disturbo di panico è possibile se sono presenti almeno 4 dei seguenti sintomi:
- palpitazioni o tachicardia
- sudorazione
- tremori
- sensazione di fiato corto o di fatica nel respirare
- sensazione di soffocamento
- dolore retrosternale
- nausea o dolori addominali
- vertigini, sensazione di instabilità, testa leggera o sensazione di svenimento
- brividi o vampate di calore
- parestesie (sensazioni di formicolio o di intorpidimento)
- derealizzazione (sensazioni di irrealtà) o depersonalizzazione (sentirsi separato da se stesso)
- sensazione di perdita del controllo o di “diventare matto”
- paura di morire
Inoltre per almeno un mese il soggetto presenta una persistente paura e preoccupazione di avere altri attacchi di panico. Questo provoca inoltre una riduzione della qualità di vita del soggetto. Ad esempio con la riduzione significativa della vita sociale, o lavorativa.
Cause degli attacchi di panico
Le cause degli attacchi di panico possono essere molto diverse tra loro. In genere il primo attacco si verifica durante un periodo particolarmente stressante dell’individuo. Lo stress può essere dovuto ad un evento acuto oppure alla presenza di numerosi fattori concomitanti. Le principali cause di un attacco di panico possono essere:
- lutti
- malattie gravi
- cambiamenti importanti nella vita (matrimonio, lavoro, separazioni)
- periodi di iperlavoro o di scarso riposo
- situazioni relazionali conflittuali
- cambiamenti di ruolo (ad es. il pensionamento)
- traumi
- problematiche finanziarie
Dopo il primo attacco in genere l’individuo sviluppa una forte preoccupazione e vive in uno stato costante di apprensione. “Se il primo attacco è stato inaspettato allora potrebbe ripresentarsi ancora senza nessun avvertimento”. Questo pensiero è molto comune tra chi soffre di attacchi di panico e porta i soggetti a rimane in uno stato di tensione costante, in una sorta di ansia anticipatoria, di “paura della paura” che porta ad aumentare i livelli di stress e quindi favorire futuri attacchi. Si instaura quindi un circolo vizioso, dove è la paura di stare male che alimenta l’ansia. L’ansia diventa panico e si produce un nuovo attacco. In altri casi gli attacchi di panico sono invece causati da un disturbo più grave. La depressione maggiore, i disturbi alimentari, il disturbo post-traumatico da stress sono alcuni dei disturbi che possono presentare, in comorbilità, un disturbo di panico.
Come bloccare un attacco di panico
Un attacco di panico in genere dura tra i cinque e i venti minuti anche se saltuariamente può durare di più. La durata comunque, in genere, non supera l’ora. Durante questo periodo di tempo i livelli di ansia sono molto forti e il soggetto è convinto che sia a serio rischio la propria incolumità. L’attacco di panico va in remissione spontaneamente. I sintomi infatti dopo circa una ventina di minuti spariscono lasciando il soggetto in uno stato di profondo sbigottimento e allarme. Attraverso tecniche di controllo del respiro è comunque possibile limitare la durata degli attacchi o impedirne l’insorgenza.
Conseguenze degli attacchi di panico
In genere chi soffre di attacchi di panico sviluppa delle conseguenze psicologiche sia sul piano cognitivo ed emotivo, sia sul piano comportamentale. Può sviluppare preoccupazioni rispetto alla propria salute fisica (i pazienti possono pensare che gli attacchi siano dovuti ad una qualche grave malattia che mette in pericolo la loro vita) oppure possono sviluppare problemi nella sfera sociale e nelle autonomie personali. Alcuni soggetti possono manifestare la preoccupazione di ritrovarsi da soli durante un attacco (ad esempio possono evitare di utilizzare l’auto) e non avere quindi nessuno a cui chiedere aiuto. Tendono quindi a ridurre ed evitare le situazioni in cui sono costretti a rimanere da soli. Oppure, al contrario, possono essere preoccupati di avere attacchi di panico in situazioni e contesti dove ci sono tante persone, per paura di essere giudicati negativamente dagli altri, quindi tendono ad isolarsi e non uscire di casa.
Attacco di panico con agorafobia
Una delle conseguenze degli attacchi di panico può essere lo sviluppo di agorafobia, un disturbo d’ansia che si ritrova nel DSM-5. Nonostante l’etimologia suggerisca che l’agorafobia sia la paura degli spazi aperti (dal greco αγορά: piazza e φοβία: paura) in realtà il termine è utilizzato per descrivere la paura collegata a diversi luoghi. Nello specifico con il termine agorafobia intendiamo la paura:
- ad usare trasporti pubblici (treni, autobus, taxi etc.)
- degli spazi aperti (centri commerciali, ponti etc.)
- degli spazi chiusi (negozi, cinema etc.)
- dello stare in fila o in mezzo ad una folla
- di stare da solo fuori casa
In genere è possibile che il disturbo di panico si associ all’agorafobia. Spesso infatti la paura di avere degli attacchi in contesti pubblici porta le persone ad evitare determinate situazioni o contesti. L’evitamento però rinforza la paura e la alimenta, portando così allo sviluppo dell’agorafobia.
Come curare gli attacchi di panico
La cura del disturbo di panico può prevedere diverse modalità terapeutiche. In genere i trattamenti possono essere di tipo farmacologico, psicoterapeutico, oppure integrare farmacoterapia e psicoterapia.
Il primo passo fondamentale è comunque quello di accettare di avere un problema e di farsi aiutare. Difficilmente questi disturbi, per quanto non gravi, possono essere curati da soli. E’ necessario infatti l’intervento di un professionista che aiuti a trovare la strategia terapeutica più efficace. Curare un disturbo di panico, chiedendo aiuto il prima possibile, scongiura il cronicizzarsi del disturbo ed evita che si instauri il circolo vizioso della paura. Una volta accettato il problema sarà lo specialista a indicare i passi successivi. In genere di fronte a frequenti attacchi di panico, può essere necessario escludere cause di natura organica (per questo è consigliabile fare riferimento in primis al proprio medico curante). Una volta accertata la natura psicologica degli attacchi è possibile iniziare la cura.
Per saperne di più, contatta Antonella Ippolito al 347 7131329.

